Cominciamo con una premessa: quest’articolo non è scritto per piacere a tutti.
Come altri articoli prima di questo, è stato stimolato dall’ennesimo “episodio” che mi ha costretto a cambiare la scaletta di questo blog per dare sfogo alla frustrazione “tra amici”.
La cosa da un lato mi infastidisce, ma dall’altro mi consola perché è un segno del fatto che, di questo passo, non avrò mai penuria di argomenti.
Non parlerò dei “mestieri” del DevOps, come promesso in precedenza, ne di energia solare.
Non tratterò di una cosa strettamente correlata agli argomenti trattati in questo blog (ho creato la categoria Off Topic per l’occasione), ma di qualcosa che fa parte di quelle “condizioni al contorno” che rendono spesso difficile fare in modo che la collaborazione tra i gruppi avvenga senza attriti.
Sto parlando dei:
Tecnici con la T maiuscola
Il Tecnico con la T maiuscola è un essere metà uomo e metà conoscenze professionali (informatiche nel nostro caso) che ritiene che la quantità e la qualità delle conoscenze stesse, piuttosto che la bontà del prodotto di cui è promotore, siano sufficienti a giustificarne le pessime modalità di comunicazione, nonché la sufficienza (qualcuno direbbe supponenza) con cui tratta chi prova a “portarlo” verso una migliore comprensione di quello che vede come il fumo negli occhi, cioè che la percezione di quello che sta facendo/promuovendo verso le persone meno (o niente affatto) tecniche sarà data all’80% dal suo comportamento e solo al 20% dalle reali qualità di quanto proposto.
Intendiamoci, tutti noi siamo un po’ Tecnici con la T maiuscola, in particolare quando cerchiamo di promuovere qualcosa che ci sta particolarmente a cuore e per la quale non riusciamo a capire come non ne sia evidente, agli occhi di tutti, la bontà.
Il problema è quando la cosa diventa sistemica, perché vuol dire che tutti i discorsi e i post che si vedono in giro sulla necessità di umiltà, di Servant Leadership sono poco seguiti, se non ignorati.
Non so se a voi sia capitato, ma per me sta diventando un’allarmante costante periodica, nel senso che nei venti e passa anni di “mestiere” incrocio periodicamente qualcuno che ha dimenticato che si lavora per risolvere il problema di un cliente o per renderne comoda la soluzione (via prodotto), non per creare artistici costrutti software autoreferenziali.
Non importa quanto si possa essere competenti in un campo, ne quanto sia buono il prodotto che si veicola, dare per scontato che questi siano dati acquisiti è sbagliato, soprattutto in un’epoca in cui tecnici magari un po’ meno competenti ma più gestibili e prodotti analoghi un po’ meno performanti se ne trovano un tanto al chilo.
ATTENZIONE: non sto dicendo che non si debba essere preparati o che i prodotti non debbano essere eccellenti, solo che non è strettamente necessario “sbattere in faccia” continuamente tali qualità al prossimo per far vedere che si hanno “attributi più grossi”.
Vale sempre la regola base:
Per favore, rilassati!
Ovviamente la cosa “scomoda”, la grande difficoltà di tutto ciò, quello che rende un pre-venditore realmente bravo, è che bisogna, contemporaneamente, “abbassarsi” al livello dell’interlocutore (senza autocelebrarsi) “innalzando” e rendendo evidenti i dettagli del prodotto, senza dare per scontato che se ne conoscano le basi (raccontando quindi le cose che a noi appaiono ovvie) e senza scivolare nel tecnicismo spinto quando chi ci ascolta non è un “pari livello”.
Se si porta una Ferrari tutta sporca di fango a una demo e l’interlocutore non ha mai visto una Ferrari (e non è tenuto a fare lo sforzo di immaginarsela pulita) quello che vedrà sarà solo una macchina sporca.
Concludo ricordando a coloro che, quando provo a spiegare il valore della semplificazione dei concetti, mi rispondono con la fantastica frase: “Io bado al sodo, non mi interessano queste cose di facciata”, che possono “rassodare” quanto vogliono, se poi le persone non ne percepiscono il valore e prendono una strada diversa hanno perso comunque.
A me personalmente una grande lezione di umiltà l’ha data il primario di neurochirurgia infantile del Gemelli, quindi non un pizza e fichi qualsiasi che vende ammassi di righe di codice o prodotti “tra le nuvole”, ma una persona che mette le mani nella spina dorsale e nel cervello dei bambini, per il quale un “bug” equivale a una vita persa.
Il Dottore in questione (lui si, con la D maiuscola, da non confondere con quell’altro, quello che va in giro per lo spazio e il tempo) si è prestato senza un fiato a fare da assistente a un’infermiera che doveva cambiare la medicazione di una bambina di due anni, perché la collega era in quel momento occupata, beccandosi pure i bonari rimproveri dell’infermiera stessa quando lui non gli porgeva per tempo le cose che gli chiedeva.
E’ una cosa che cerco sempre di ricordarmi nei momenti in cui la T maiuscola, ogni tanto, tende a venire fuori.
Alla prossima.